Oggi
siamo in ottima compagnia, quella di Pasquale Dente, autore di “Dietro la
maschera”, di cui trovate la recensione qui. In quest’intervista ci racconta un po’ di questo libro e anche del
suo lavoro, lo stesso della protagonista del suo romanzo, quello di infermiere.
Ci racconta come è stato per lui vivere attraverso il proprio lavoro l’esperienza
del Covid e ci racconta come è nata l’idea di scrivere e pubblicare un libro
sull’argomento e non solo, ma lascio la parola a lui…
Ciao. Innanzitutto grazie per concedermi quest’intervista.
Comincia raccontandoci un po’ di te… Cosa fai nella vita? Come hai scoperto la
passione per la scrittura?
Allora,
cosa faccio nella vita? Io faccio quello che fa Lucia, la protagonista del mio
libro: praticamente sono un infermiere di terapia intensiva cardiotoracica
presso la Oxford University e, da un anno a questa parte, il nostro reparto di
terapia intensiva cardiotoracica è diventato un reparto di terapia intensiva
Covid. Quindi abbiamo pazienti Covid positivi, sedati, intubati, in coma;
diciamo così: il peggio che l’assistenza infermieristica possa prevedere. Ecco,
questo faccio nella mia vita. Per quanto riguarda la scrittura, ho scritto in
passato per alcune riviste che riguardavano l’ambito infermieristico. Scrivere
è bello… mi dà soddisfazione principalmente perché a me non piace tanto seguire
le regole. La scrittura non mi pone regole: posso fare quello che voglio, i
miei personaggi fanno quello che voglio io e nessuno mi detta nulla, l’unico
limite è dettato dalla mia fantasia, ecco. Ho scritto da giovane giovane,
proprio giovanissimo, sto parlando di vent’anni fa, un altro libro che ho
pensato di riprenderlo per rinfrescarlo un po’ e valutarne la pubblicazione,
però per adesso godiamoci “Dietro la maschera” e poi si vedrà in futuro.
Come hai avuto l’idea di scrivere “Dietro la maschera”?
Allora,
l’idea di scrivere il mio romanzo mi è venuta quando sono entrato per la prima
volta nel mio reparto, come accade a Lucia, è accaduto anche a me… o meglio:
come accadde a me, accade anche a Lucia nel libro. Praticamente io avevo tre
giorni off, smontai il lunedì mattina che non avevamo pazienti Covid, dopo aver
fatto la notte di domenica. Quindi vado a casa, sapevo che probabilmente
avremmo dovuto ammettere il primo paziente Covid il lunedì pomeriggio ed era,
diciamo così, quasi una certezza, ma non ne eravamo sicuri al 100%, quindi si
parlava, stavamo preparando la nostra terapia intensiva a ricevere questo tipo
di pazienti, con i vari filtri, mascherine ecc. Quindi io smonto il lunedì
mattina, ritorno a lavoro giovedì notte, quindi dopo tre giorni e mezzo, entro
in reparto e ci sono venti pazienti in coma, intubati, sedati, in condizioni
pessime. Sai, io mi son detto: “Ma che sta succedendo?” Sembrava Baghdad, veramente…
mi sono chiesto da dove fossero usciti tutti quei pazienti. Insomma, al lunedì
mattina non ce n’era nemmeno uno, sono tornato giovedì e ce n’erano venti.
Visto che io scrivevo su questo portale di infermieri, volevo scrivere una
storia, anche per confrontarmi con i colleghi italiani sulla situazione, quindi
avevo intenzione di scrivere qualche articolo. Poi, nel corso del tempo, le
cose cominciavano a essere tante, tante da scrivere. Mi sono reso conto che un
articolo non era abbastanza e ho cominciato a scrivere. Poi, mi sono rotto la mano
durante il turno di lavoro e sono stato ventitré giorni a casa. Quando sono
ritornato a lavoro, ho trovato i miei colleghi estremamente stressati, la
condizione ci ha logorati tantissimo. E io, rispetto a loro, ero molto fresco,
no? Perché anche se ero stato in malattia, vista la rottura della mano, io
comunque ero riposato rispetto a loro. Quindi ho notato questa differenza di
stress psicologico tramite loro e, sai, ho cominciato a mettere questo aspetto
in questo racconto che si stava costruendo nella mia testa e dopodiché,
continuando a lavorare nel reparto Covid, questo aspetto dello stress
psicologico dell’infermiere ha cominciato a essere predominante, il mio libro è
incentrato proprio su quest’aspetto. Subito ho notato questa differenza, ma
andando avanti ho dato molto molto peso a questo aspetto, fino a che è
diventato il messaggio predominante, l’unico messaggio che voglio trasmettere
con il mio libro. “Dietro la maschera” perché: chi c’è dietro la maschera? Non
si sa chi c’è. Hanno detto che eravamo eroi, ma non lo siamo, siamo persone
normali. L’eroe non ha bisogno di niente, non paga l’affitto, non deve mangiare,
non ha bisogno di nulla… invece la persona normale ha gli affetti a casa, la
famiglia, le mancanze, quindi non siamo eroi. Il messaggio è: Tu sai chi c’è
dietro la maschera? Non si sa.
Quanto del tuo romanzo è pura fantasia? Ci sono fatti o
personaggi ispirati a tue esperienze personali?
Come
già detto, quello che Lucia racconta, io l’ho visto. Quello che Lucia ha visto,
ho visto anche io. Ci sono alcuni episodi che non mi sono accaduti in prima
persona, ma sono accaduti ai miei colleghi. Infatti, ti racconto un aneddoto:
una ragazza mi ha raccontato una storia in questi giorni, su una parte del
libro in cui Lucia praticamente finisce di lavorare, va a casa, viene fermata
dalla polizia e le chiedono perché si trova per strada e che lavoro fa (perché
in Italia durante il lockdown non si poteva camminare). Lei dice che sta
tornando dal lavoro e loro, anche un po’ arrabbiati, le chiedono: che lavoro ti
permette di stare per strada quando tutti devono stare in casa? Lucia risponde
che fa l’infermiera, e il poliziotto si mette sull’attenti. Questa cosa non è
capitata a me, ma a una mia amica di Napoli, che anche lei infermiera: le è
capitato tornando a casa, in macchina, dopo il turno di notte di essere fermata
a un posto di blocco. Quindi non tutte le cose che racconto nel libro sono
capitate a me, però ho visto quelle cose. Poi, ovviamente, verso il finale c’è
tutta una parte di fantasia, mentre la parte iniziale è reale. I personaggi non
esistono, però questi personaggi inventati sono inseriti in una realtà che esiste,
quindi il Covid, la terapia intensiva. Ho messo tanti fatti di cronaca veri:
nel libro si parla dell’apertura dell’Ospedale Fiera di Milano, si parla del
discorso di Boris Johnson, quando dice che bisognava raggiungere
l’immunizzazione di massa. Ho inserito della cronaca in un libro di cui
l’ambientazione è reale, mentre i personaggi inventati.
“Dietro la maschera” è il tuo primo libro?
Allora,
“Dietro la maschera” è il primo libro pubblicato. Ne avevo scritto un altro,
come già detto, vent’anni fa, ma sta ancora là, nel cassetto, che forse
riprenderò. Ho tante tante tante idee… a me piace scrivere, ho avuto idee in
passato, ma niente, nessun’idea, nessun libro mi ha spinto fino a questo.
Mentre “Dietro la maschera” mi ha dato quella spinta di dire “questa cosa
bisogna farla conoscere”. Ecco, questo è stato forse quello che più mi ha
spinto a scrivere questo romanzo: far conoscere! Far conoscere a chi non lavora
in terapia intensiva, a chi non è medico o infermiere, OSA o comunque che
lavora in ospedale, far conoscere a quelle persone cosa ha significato e cosa
significa lavorare lì. Perché io ho sentito molte lamentele di persone che sono
state chiuse in casa, sì, è giusto, non è semplice stare chiusi dentro, ma non
è manco semplice dover uscire di casa e andare in una terapia intensiva o in un
reparto dove sai che tutti quanti sono infetti. Ecco, si ha paura che magari la
mascherina che usi per proteggerti, magari è bucata, magari si distacca dalla
faccia, quindi il virus potrebbe entrare, ti lavi le mani mille volte, stai
attento a quello che tocchi, stai attento a quello che fai… quindi questo è
quanto. Ho semplicemente pensato che le persone che non lavorano nell’ambiente
dovevano sapere cosa stesse accadendo, cosa fosse accaduto perché, ti dico la
verità, pensavo che sarebbe finito tutto con la prima ondata, non credevo ne
arrivasse una seconda.
Qual è stato il percorso che ti ha portato alla pubblicazione?
Allora,
il percorso della pubblicazione non è stato semplice perché io ho finito ‘sto
libro, letto, riletto dieci mila volte, dopodiché ho cominciato a mandarlo alle
case editrici. Devo dire la verità, ho scoperto un mondo abbastanza non bello,
ecco. Non trovo altro termine, ma ecco, non proprio bello perché ho scoperto
che è assolutamente, non impossibile, ma non facile pubblicare un libro in
Italia. Perché, se ti rivolgi a case editrici importanti - cosa che ho fatto -
sicuramente loro hanno un numero di richieste altissimo, quindi o non ti
rispondono proprio o comunque ti rispondono dicendo che ti daranno una
risposta, che esamineranno questo manoscritto, entro sei/nove mesi. Altre case
editrici mi avevano detto che era tutto pieno per il 2020/2021, se ne parlava
nel 2022, forse. Quindi ecco, un libro che parla del Coronavirus, io volvevo
pubblicarlo nel più breve tempo possibile. Per arrivare comunque a case
editrici importanti mi hanno consigliato di prendere un agente letterario, ma
ho chiesto ad alcuni agenti letterari e mi hanno proposto contratti da
3/400/500 euro al mese per contratti da sei mesi/un anno, quindi 4/5/6 mila
euro per pubblicizzare un libro. E visto che sono praticamente un perfetto
sconosciuto, non mi andava di investire tutti questi soldi su un libro che io
non so se vale o meno. Poi, ora ti dico che le cose non stanno andando male,
però ecco, io sono una persona che crede in se stessa, ma non fino al punto di
prendere 5/6 mila euro e dargli a un agente letterario. Non sono assolutamente
il tipo. Ho provato anche con altre case editrici, di quelle più piccole, e mi
hanno proposto contratti assolutamente inguardabili, nel senso che io avrei
perso quasi tutti i diritti del libro. Io non voglio i diritti, non voglio
niente, ho scritto questa storia solo per raccontarla, ma nel momento in cui io
scrivo un libro, e tu mi vuoi dare il 5% di royalty sulla vendita o il 6/7 % e
il prezzo di copertina lo scegli tu, a me non piace. Infatti, loro volevano
mettere un prezzo di copertina molto alto, di 18/19 euro e a me non piaceva
questa cosa, quindi non ho trovato nessun accordo in nessun verso: prezzo di
copertina, royalty, nulla. Alcune case editrici mi proponevano comunque un
contributo, che poteva essere: contributo editor, contributo copertina,
contributo questo, contributo quello, quindi non era semplice, erano tutte cose
che io avrei dovuto pagare di tasca mia. Quindi nulla, mi sono fatto questo
libro da solo, mi sono iscritto a vari gruppi, WhatsApp, Facebook ecc. e, alla
fine di tutto, ho pensato che il self publishing con Amazon fosse la cosa più
semplice da fare. Ci sono altri siti che lo permettono, io ho scelto Amazon
perché comunque io vivo in Inghilterra, Amazon è Amazon, quindi se avessi
scelto di pubblicare con dei siti italiani, non so se avrebbero spedito in
Inghilterra. Con Amazon invece, io ho la possibilità di vendere in tutto il
mondo, ecco. Poi comunque Amazon è Amazon, è un brand importante, ecco, ti
ripeto, il mio libro viene acquistato in Italia da persone che conosco o no, in
Inghilterra dai miei colleghi e anche in Germania, dove vive mio fratello,
anche lì sto vendendo delle coppie. Non so se ci siano altri Paesi d’Europa nei
quali i miei libri stanno andando, comunque questi tre sicuramente: Italia,
Germania, Inghilterra; quindi, se tu ci pensi, rispetto a un sito self
publishing italiano, che non ti garantisce la distribuzione in Europa, questa è
una cosa importante. Ovviamente se mi chiedi quanto ho speso per pubblicare il
libro, ti rispondo: “Niente! Zero.” Il disegno della copertina l’ha fatto mio
cugino, che è un tatuatore, la mia fidanzata me l’ha assemblata, quindi lo
sfondo blu; il libro l’ho scritto io, ho pagato solo la ragazza che mi ha fatto
l’impaginazione e ha corretto le bozze, che poi ci stanno ancora alcuni errori
grammaticali, però io ti dico che, a fronte di migliaia di euro che le case editrici
mi chiedevano, ho scelto il self publishing e non ci ho speso niente. Io non ci
voglio guadagnare nulla da questo libro, mi interessa farmi conoscere dal
pubblico e far passare il mio messaggio, perciò, ti ripeto, il mio obiettivo
non era quello di guadagnarci, ma sicuramente non era quello di perderci, o
comunque fare un investimento di 4/5/6 mila euro. Questo è quanto… perciò ho
trovato nel self publishing con Amazon il miglior modo per pubblicarlo.
Come ti sei trovato, fino ad ora, con il self publishing?
Guarda,
non te lo so dire, anche perché non so esattamente come stanno andando le
vendite. Io ho il report giornaliero di Amazon, se voglio, ma non lo so perché
non so quanto sia giusto, quanto sia poco, quanto sia tanto perché avendo
scritto solo questo libro, non avendo dei, come dire, dei criteri, non so dire
se 10 copie sono tante o poche, o 100 copie o 200 copie, non so quante copie
siano giuste per uno scrittore emergente, alle prime armi, uno sconosciuto,
quindi non so. Diciamo così, il problema del self publishing è che devi fare
tutto tu: pubblicità ecc. ecc. Parlando un po’ in giro con persone che hanno
pubblicato con case editrici, loro non hanno avuto una grossa pubblicità o
comunque un grosso ritorno da queste case editrici. Come ti dicevo, molte ti
prendono i soldi, pubblicano il libro, se fai successo dividiamo, se va male, è
il tuo libro che non va bene; queste sono persone che hanno comunque investito
del denaro nelle case editrici che poi sono pressappoco sparite. Quindi diciamo
che per ora mi sono trovato bene con il self publishing, poi in futuro si
vedrà.
Quali sono i tuoi piani per il futuro dal punto di vista
letterario? Stai scrivendo altro oppure hai intenzione di farlo in futuro?
Allora,
per il futuro, come ti ho già detto, io ho tante storie in testa da poter
scrivere. Al momento non sto scrivendo perché sto un po’ studiando per un
concorso importante quindi ho un pochino accantonato la scrittura, ma già c’ho
il libro pronto. Mentalmente è pronto già. Vorrei continuare con il medical
romance e c’ho una bella storiella in testa, per poi cambiare. Al terzo libro
cambierò totalmente genere, però per adesso ho già due/tre storie in testa,
tre/quattro libri… idee, ecco. Spero che in futuro sentirete ancora parlare di
me. Ora col primo libro, libro d’esordio, credimi non vedo manco le royalty,
non penso a niente, io con questo libro sto cercando solo di farmi conoscere e
sinceramente su Instagram, dove sto spingendo abbastanza, ecco, ci sono persone
che leggono il libro e mi mandano il messaggio, che è un messaggio, credimi,
rincuorante, mi rende felice sentire uno sconosciuto che mi scrive su Instagram
e mi dice: “Guarda, ho letto il libro, mi è piaciuto, ma quando uscirà un nuovo
libro?” Questa è una cosa che fa piacere. Sempre considerando che io sono un
perfetto sconosciuto, quindi spero che sentirete parlare di me in futuro.
Infine, vuoi salutarci con una citazione tratta dal tuo romanzo,
“Dietro la maschera”, oppure ci vuoi raccontare qualche curiosità in merito?
Le
frasi che posso dire per salutare sono tante, però io ti dico solo, guarda, per
rispondere… io non voglio toccare l’argomento dei negazionisti, ma ti posso
dire due frasi. Ti posso dire che, io sono tornato a Napoli a settembre, dopo
la pandemia, dopo quasi un anno per il fatto dei blocchi, sai, sono tornato a
Napoli, dove ci sono state tante persone: amici, i miei, amici di famiglia,
anche persone di una certa età, che mi hanno chiesto, così, in maniera privata:
“Dimmi la verità, ma veramente è successo quello che hanno detto? Veramente la
situazione era così grave?” E io ho sempre risposto in maniera molto ironica,
io sono una persona molto ironica su me stesso, sul lavoro, su tutto, quindi ho
sempre risposto dicendo: “Mah, io non lo so se era vero, era finto, ma io,
durante questi mesi, ho messo parecchie persone nei sacchi bianchi. Poi io non
so se facevano finta, ma se facevano finta… erano bravissimi perché a me
sembravano morti”. Quindi la frase che ti dico è: Ma ‘sto Covid veramente
esiste? Non lo so, però io persone nei sacchi bianchi ne ho messe”. E un’altra
frase con cui ti posso salutare è: “Quando tu, lettore che stai leggendo
l’articolo, guardi l’infermiere, devi sapere che questa è una persona che
lavora con la morte. Nel mio incipit dico: io lavoro con la morte, la morte
lavora al mio fianco, a volte vinco io, a volte vince lei. Però comunque questo
è il mio lavoro, siamo persone abituate a guardare in faccia la morte e io
penso che quando tu guardi la morte, quando tu ci lavori, cambi, cambia il tuo
modo di vivere, il tuo modo di essere.
Nessun commento:
Posta un commento