lunedì 22 febbraio 2021

Intervista all'autore: Pasquale Dente, autore di "Dietro la maschera"

Oggi siamo in ottima compagnia, quella di Pasquale Dente, autore di “Dietro la maschera”, di cui trovate la recensione qui. In quest’intervista ci racconta un po’ di questo libro e anche del suo lavoro, lo stesso della protagonista del suo romanzo, quello di infermiere. Ci racconta come è stato per lui vivere attraverso il proprio lavoro l’esperienza del Covid e ci racconta come è nata l’idea di scrivere e pubblicare un libro sull’argomento e non solo, ma lascio la parola a lui…




Ciao. Innanzitutto grazie per concedermi quest’intervista. Comincia raccontandoci un po’ di te… Cosa fai nella vita? Come hai scoperto la passione per la scrittura?

Allora, cosa faccio nella vita? Io faccio quello che fa Lucia, la protagonista del mio libro: praticamente sono un infermiere di terapia intensiva cardiotoracica presso la Oxford University e, da un anno a questa parte, il nostro reparto di terapia intensiva cardiotoracica è diventato un reparto di terapia intensiva Covid. Quindi abbiamo pazienti Covid positivi, sedati, intubati, in coma; diciamo così: il peggio che l’assistenza infermieristica possa prevedere. Ecco, questo faccio nella mia vita. Per quanto riguarda la scrittura, ho scritto in passato per alcune riviste che riguardavano l’ambito infermieristico. Scrivere è bello… mi dà soddisfazione principalmente perché a me non piace tanto seguire le regole. La scrittura non mi pone regole: posso fare quello che voglio, i miei personaggi fanno quello che voglio io e nessuno mi detta nulla, l’unico limite è dettato dalla mia fantasia, ecco. Ho scritto da giovane giovane, proprio giovanissimo, sto parlando di vent’anni fa, un altro libro che ho pensato di riprenderlo per rinfrescarlo un po’ e valutarne la pubblicazione, però per adesso godiamoci “Dietro la maschera” e poi si vedrà in futuro.

Come hai avuto l’idea di scrivere “Dietro la maschera”?

Allora, l’idea di scrivere il mio romanzo mi è venuta quando sono entrato per la prima volta nel mio reparto, come accade a Lucia, è accaduto anche a me… o meglio: come accadde a me, accade anche a Lucia nel libro. Praticamente io avevo tre giorni off, smontai il lunedì mattina che non avevamo pazienti Covid, dopo aver fatto la notte di domenica. Quindi vado a casa, sapevo che probabilmente avremmo dovuto ammettere il primo paziente Covid il lunedì pomeriggio ed era, diciamo così, quasi una certezza, ma non ne eravamo sicuri al 100%, quindi si parlava, stavamo preparando la nostra terapia intensiva a ricevere questo tipo di pazienti, con i vari filtri, mascherine ecc. Quindi io smonto il lunedì mattina, ritorno a lavoro giovedì notte, quindi dopo tre giorni e mezzo, entro in reparto e ci sono venti pazienti in coma, intubati, sedati, in condizioni pessime. Sai, io mi son detto: “Ma che sta succedendo?” Sembrava Baghdad, veramente… mi sono chiesto da dove fossero usciti tutti quei pazienti. Insomma, al lunedì mattina non ce n’era nemmeno uno, sono tornato giovedì e ce n’erano venti. Visto che io scrivevo su questo portale di infermieri, volevo scrivere una storia, anche per confrontarmi con i colleghi italiani sulla situazione, quindi avevo intenzione di scrivere qualche articolo. Poi, nel corso del tempo, le cose cominciavano a essere tante, tante da scrivere. Mi sono reso conto che un articolo non era abbastanza e ho cominciato a scrivere. Poi, mi sono rotto la mano durante il turno di lavoro e sono stato ventitré giorni a casa. Quando sono ritornato a lavoro, ho trovato i miei colleghi estremamente stressati, la condizione ci ha logorati tantissimo. E io, rispetto a loro, ero molto fresco, no? Perché anche se ero stato in malattia, vista la rottura della mano, io comunque ero riposato rispetto a loro. Quindi ho notato questa differenza di stress psicologico tramite loro e, sai, ho cominciato a mettere questo aspetto in questo racconto che si stava costruendo nella mia testa e dopodiché, continuando a lavorare nel reparto Covid, questo aspetto dello stress psicologico dell’infermiere ha cominciato a essere predominante, il mio libro è incentrato proprio su quest’aspetto. Subito ho notato questa differenza, ma andando avanti ho dato molto molto peso a questo aspetto, fino a che è diventato il messaggio predominante, l’unico messaggio che voglio trasmettere con il mio libro. “Dietro la maschera” perché: chi c’è dietro la maschera? Non si sa chi c’è. Hanno detto che eravamo eroi, ma non lo siamo, siamo persone normali. L’eroe non ha bisogno di niente, non paga l’affitto, non deve mangiare, non ha bisogno di nulla… invece la persona normale ha gli affetti a casa, la famiglia, le mancanze, quindi non siamo eroi. Il messaggio è: Tu sai chi c’è dietro la maschera? Non si sa.

Quanto del tuo romanzo è pura fantasia? Ci sono fatti o personaggi ispirati a tue esperienze personali?

Come già detto, quello che Lucia racconta, io l’ho visto. Quello che Lucia ha visto, ho visto anche io. Ci sono alcuni episodi che non mi sono accaduti in prima persona, ma sono accaduti ai miei colleghi. Infatti, ti racconto un aneddoto: una ragazza mi ha raccontato una storia in questi giorni, su una parte del libro in cui Lucia praticamente finisce di lavorare, va a casa, viene fermata dalla polizia e le chiedono perché si trova per strada e che lavoro fa (perché in Italia durante il lockdown non si poteva camminare). Lei dice che sta tornando dal lavoro e loro, anche un po’ arrabbiati, le chiedono: che lavoro ti permette di stare per strada quando tutti devono stare in casa? Lucia risponde che fa l’infermiera, e il poliziotto si mette sull’attenti. Questa cosa non è capitata a me, ma a una mia amica di Napoli, che anche lei infermiera: le è capitato tornando a casa, in macchina, dopo il turno di notte di essere fermata a un posto di blocco. Quindi non tutte le cose che racconto nel libro sono capitate a me, però ho visto quelle cose. Poi, ovviamente, verso il finale c’è tutta una parte di fantasia, mentre la parte iniziale è reale. I personaggi non esistono, però questi personaggi inventati sono inseriti in una realtà che esiste, quindi il Covid, la terapia intensiva. Ho messo tanti fatti di cronaca veri: nel libro si parla dell’apertura dell’Ospedale Fiera di Milano, si parla del discorso di Boris Johnson, quando dice che bisognava raggiungere l’immunizzazione di massa. Ho inserito della cronaca in un libro di cui l’ambientazione è reale, mentre i personaggi inventati.

“Dietro la maschera” è il tuo primo libro?

Allora, “Dietro la maschera” è il primo libro pubblicato. Ne avevo scritto un altro, come già detto, vent’anni fa, ma sta ancora là, nel cassetto, che forse riprenderò. Ho tante tante tante idee… a me piace scrivere, ho avuto idee in passato, ma niente, nessun’idea, nessun libro mi ha spinto fino a questo. Mentre “Dietro la maschera” mi ha dato quella spinta di dire “questa cosa bisogna farla conoscere”. Ecco, questo è stato forse quello che più mi ha spinto a scrivere questo romanzo: far conoscere! Far conoscere a chi non lavora in terapia intensiva, a chi non è medico o infermiere, OSA o comunque che lavora in ospedale, far conoscere a quelle persone cosa ha significato e cosa significa lavorare lì. Perché io ho sentito molte lamentele di persone che sono state chiuse in casa, sì, è giusto, non è semplice stare chiusi dentro, ma non è manco semplice dover uscire di casa e andare in una terapia intensiva o in un reparto dove sai che tutti quanti sono infetti. Ecco, si ha paura che magari la mascherina che usi per proteggerti, magari è bucata, magari si distacca dalla faccia, quindi il virus potrebbe entrare, ti lavi le mani mille volte, stai attento a quello che tocchi, stai attento a quello che fai… quindi questo è quanto. Ho semplicemente pensato che le persone che non lavorano nell’ambiente dovevano sapere cosa stesse accadendo, cosa fosse accaduto perché, ti dico la verità, pensavo che sarebbe finito tutto con la prima ondata, non credevo ne arrivasse una seconda.

Qual è stato il percorso che ti ha portato alla pubblicazione?

Allora, il percorso della pubblicazione non è stato semplice perché io ho finito ‘sto libro, letto, riletto dieci mila volte, dopodiché ho cominciato a mandarlo alle case editrici. Devo dire la verità, ho scoperto un mondo abbastanza non bello, ecco. Non trovo altro termine, ma ecco, non proprio bello perché ho scoperto che è assolutamente, non impossibile, ma non facile pubblicare un libro in Italia. Perché, se ti rivolgi a case editrici importanti - cosa che ho fatto - sicuramente loro hanno un numero di richieste altissimo, quindi o non ti rispondono proprio o comunque ti rispondono dicendo che ti daranno una risposta, che esamineranno questo manoscritto, entro sei/nove mesi. Altre case editrici mi avevano detto che era tutto pieno per il 2020/2021, se ne parlava nel 2022, forse. Quindi ecco, un libro che parla del Coronavirus, io volvevo pubblicarlo nel più breve tempo possibile. Per arrivare comunque a case editrici importanti mi hanno consigliato di prendere un agente letterario, ma ho chiesto ad alcuni agenti letterari e mi hanno proposto contratti da 3/400/500 euro al mese per contratti da sei mesi/un anno, quindi 4/5/6 mila euro per pubblicizzare un libro. E visto che sono praticamente un perfetto sconosciuto, non mi andava di investire tutti questi soldi su un libro che io non so se vale o meno. Poi, ora ti dico che le cose non stanno andando male, però ecco, io sono una persona che crede in se stessa, ma non fino al punto di prendere 5/6 mila euro e dargli a un agente letterario. Non sono assolutamente il tipo. Ho provato anche con altre case editrici, di quelle più piccole, e mi hanno proposto contratti assolutamente inguardabili, nel senso che io avrei perso quasi tutti i diritti del libro. Io non voglio i diritti, non voglio niente, ho scritto questa storia solo per raccontarla, ma nel momento in cui io scrivo un libro, e tu mi vuoi dare il 5% di royalty sulla vendita o il 6/7 % e il prezzo di copertina lo scegli tu, a me non piace. Infatti, loro volevano mettere un prezzo di copertina molto alto, di 18/19 euro e a me non piaceva questa cosa, quindi non ho trovato nessun accordo in nessun verso: prezzo di copertina, royalty, nulla. Alcune case editrici mi proponevano comunque un contributo, che poteva essere: contributo editor, contributo copertina, contributo questo, contributo quello, quindi non era semplice, erano tutte cose che io avrei dovuto pagare di tasca mia. Quindi nulla, mi sono fatto questo libro da solo, mi sono iscritto a vari gruppi, WhatsApp, Facebook ecc. e, alla fine di tutto, ho pensato che il self publishing con Amazon fosse la cosa più semplice da fare. Ci sono altri siti che lo permettono, io ho scelto Amazon perché comunque io vivo in Inghilterra, Amazon è Amazon, quindi se avessi scelto di pubblicare con dei siti italiani, non so se avrebbero spedito in Inghilterra. Con Amazon invece, io ho la possibilità di vendere in tutto il mondo, ecco. Poi comunque Amazon è Amazon, è un brand importante, ecco, ti ripeto, il mio libro viene acquistato in Italia da persone che conosco o no, in Inghilterra dai miei colleghi e anche in Germania, dove vive mio fratello, anche lì sto vendendo delle coppie. Non so se ci siano altri Paesi d’Europa nei quali i miei libri stanno andando, comunque questi tre sicuramente: Italia, Germania, Inghilterra; quindi, se tu ci pensi, rispetto a un sito self publishing italiano, che non ti garantisce la distribuzione in Europa, questa è una cosa importante. Ovviamente se mi chiedi quanto ho speso per pubblicare il libro, ti rispondo: “Niente! Zero.” Il disegno della copertina l’ha fatto mio cugino, che è un tatuatore, la mia fidanzata me l’ha assemblata, quindi lo sfondo blu; il libro l’ho scritto io, ho pagato solo la ragazza che mi ha fatto l’impaginazione e ha corretto le bozze, che poi ci stanno ancora alcuni errori grammaticali, però io ti dico che, a fronte di migliaia di euro che le case editrici mi chiedevano, ho scelto il self publishing e non ci ho speso niente. Io non ci voglio guadagnare nulla da questo libro, mi interessa farmi conoscere dal pubblico e far passare il mio messaggio, perciò, ti ripeto, il mio obiettivo non era quello di guadagnarci, ma sicuramente non era quello di perderci, o comunque fare un investimento di 4/5/6 mila euro. Questo è quanto… perciò ho trovato nel self publishing con Amazon il miglior modo per pubblicarlo.

Come ti sei trovato, fino ad ora, con il self publishing?

Guarda, non te lo so dire, anche perché non so esattamente come stanno andando le vendite. Io ho il report giornaliero di Amazon, se voglio, ma non lo so perché non so quanto sia giusto, quanto sia poco, quanto sia tanto perché avendo scritto solo questo libro, non avendo dei, come dire, dei criteri, non so dire se 10 copie sono tante o poche, o 100 copie o 200 copie, non so quante copie siano giuste per uno scrittore emergente, alle prime armi, uno sconosciuto, quindi non so. Diciamo così, il problema del self publishing è che devi fare tutto tu: pubblicità ecc. ecc. Parlando un po’ in giro con persone che hanno pubblicato con case editrici, loro non hanno avuto una grossa pubblicità o comunque un grosso ritorno da queste case editrici. Come ti dicevo, molte ti prendono i soldi, pubblicano il libro, se fai successo dividiamo, se va male, è il tuo libro che non va bene; queste sono persone che hanno comunque investito del denaro nelle case editrici che poi sono pressappoco sparite. Quindi diciamo che per ora mi sono trovato bene con il self publishing, poi in futuro si vedrà.

Quali sono i tuoi piani per il futuro dal punto di vista letterario? Stai scrivendo altro oppure hai intenzione di farlo in futuro?

Allora, per il futuro, come ti ho già detto, io ho tante storie in testa da poter scrivere. Al momento non sto scrivendo perché sto un po’ studiando per un concorso importante quindi ho un pochino accantonato la scrittura, ma già c’ho il libro pronto. Mentalmente è pronto già. Vorrei continuare con il medical romance e c’ho una bella storiella in testa, per poi cambiare. Al terzo libro cambierò totalmente genere, però per adesso ho già due/tre storie in testa, tre/quattro libri… idee, ecco. Spero che in futuro sentirete ancora parlare di me. Ora col primo libro, libro d’esordio, credimi non vedo manco le royalty, non penso a niente, io con questo libro sto cercando solo di farmi conoscere e sinceramente su Instagram, dove sto spingendo abbastanza, ecco, ci sono persone che leggono il libro e mi mandano il messaggio, che è un messaggio, credimi, rincuorante, mi rende felice sentire uno sconosciuto che mi scrive su Instagram e mi dice: “Guarda, ho letto il libro, mi è piaciuto, ma quando uscirà un nuovo libro?” Questa è una cosa che fa piacere. Sempre considerando che io sono un perfetto sconosciuto, quindi spero che sentirete parlare di me in futuro.

Infine, vuoi salutarci con una citazione tratta dal tuo romanzo, “Dietro la maschera”, oppure ci vuoi raccontare qualche curiosità in merito?

Le frasi che posso dire per salutare sono tante, però io ti dico solo, guarda, per rispondere… io non voglio toccare l’argomento dei negazionisti, ma ti posso dire due frasi. Ti posso dire che, io sono tornato a Napoli a settembre, dopo la pandemia, dopo quasi un anno per il fatto dei blocchi, sai, sono tornato a Napoli, dove ci sono state tante persone: amici, i miei, amici di famiglia, anche persone di una certa età, che mi hanno chiesto, così, in maniera privata: “Dimmi la verità, ma veramente è successo quello che hanno detto? Veramente la situazione era così grave?” E io ho sempre risposto in maniera molto ironica, io sono una persona molto ironica su me stesso, sul lavoro, su tutto, quindi ho sempre risposto dicendo: “Mah, io non lo so se era vero, era finto, ma io, durante questi mesi, ho messo parecchie persone nei sacchi bianchi. Poi io non so se facevano finta, ma se facevano finta… erano bravissimi perché a me sembravano morti”. Quindi la frase che ti dico è: Ma ‘sto Covid veramente esiste? Non lo so, però io persone nei sacchi bianchi ne ho messe”. E un’altra frase con cui ti posso salutare è: “Quando tu, lettore che stai leggendo l’articolo, guardi l’infermiere, devi sapere che questa è una persona che lavora con la morte. Nel mio incipit dico: io lavoro con la morte, la morte lavora al mio fianco, a volte vinco io, a volte vince lei. Però comunque questo è il mio lavoro, siamo persone abituate a guardare in faccia la morte e io penso che quando tu guardi la morte, quando tu ci lavori, cambi, cambia il tuo modo di vivere, il tuo modo di essere.  


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