martedì 16 febbraio 2021

Recensione: "Dietro la maschera" di Pasquale Dente


Titolo: Dietro la maschera

Autore: Pasquale Dente

Casa editrice: Independently published

Genere: medical romance

Pagine: 307

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Pasquale Dente, originario di Napoli, vive a Oxford, dove lavora come infermiere nel reparto di terapia intensiva del John Radcliffe Hospital Oxford University in Inghilterra. Oltre a svolgere con passione la sua professione, grazie a questa sua prima opera letteraria è entrato a tutti gli effetti nel panorama editoriale degli scrittori emergenti.

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Dietro la maschera, un romanzo che rinnova e sorprende il panorama editoriale assumendo un titolo significativo e al contempo enigmatico, rappresentante la dolorosa realtà, che stiamo attraversando a causa della pandemia Covid 19. Un virus letale che sta mettendo in ginocchio tutto il mondo. L’autore dedica a questo buio periodo esistenziale e mondiale una storia con protagonista Lucia, a sua volta voce narrante, che lavora come infermiera e descriverà appunto l’ambiente professionale con profonda autenticità.

Insieme a Lucia ci sono altri personaggi rappresentati da giovani ragazzi, suoi coinquilini, migrati come lei al nord Italia per cercare fortuna. La protagonista inizia a sentire il boom di notizie sull’espandersi del virus quando è in vacanza in Egitto, per poi tornare a casa e vivere direttamente sulla propria pelle tale inferno. All’improvviso il mondo di tutti cambia, soprattutto quello delle nuove generazioni e degli attuali giovani, che dovranno sacrificarsi per rinunciare alla vita sociale, ai divertimenti e anche agli abitudinari gesti (carezze, abbracci, saluti, baci) tra amici e familiari. Mascherine, guanti e gel igienizzante diventeranno i continui compagni della vita di tutti i giorni.



Allora, devo essere sincera e dirvi che sono davvero molto combattuta nel scrivere questa recensione. Ci sono cose che ho apprezzato del romanzo in questione e altre che mi hanno fatto storcere il naso… Parto col raccontarvi le note positive di questo libro.

Mi è piaciuto molto il fatto che il libro sia incentrato sulle esperienze della protagonista – un’infermiera nell’area Covid di un ospedale lombardo – vissute durante la fase peggiore della pandemia che tutti noi abbiamo avuto modo di vivere un anno fa, e che stiamo ancora vivendo. È stato davvero interessante essere dall’alta parte, “vedere” quel particolare e tragico periodo attraverso gli occhi di chi era – per citare l’autore – Dietro la maschera. Rendersi conto di come siano stati per gli infermieri quei giorni, i primi, quelli in cui ancora non si capiva cosa stava esattamente succedendo nel mondo, quelli in cui ancora non si conoscevano i rischi a cui si andava incontro, quei giorni in cui il virus veniva ancora preso sottogamba. L’autore è riuscito a farmi provare delle emozioni, a farmi sentire sulla pelle esattamente le emozioni della protagonista in quei primi frangenti e questa è una cosa che ho sempre apprezzato in un libro. Di qualsiasi entità siano, se un libro porta il lettore a provare delle emozioni, il suo scopo l’ha raggiunto, a mio avviso.

Un’altra cosa che ho apprezzato molto di “Dietro la maschera” è stata quest’altalena tra momenti tristi, dolorosi anche e altri un po’ più leggeri, che mi hanno anche strappato qualche sorriso. Ho amato la famiglia della protagonista, in perfetto contrasto con lei: da un lato abbiamo l’infermiera, intelligente, forte, indipendente e responsabile; dall’altro ci sono i genitori, ignoranti a loro modo, tipici genitori del sud e non solo (abbiamo una madre apprensiva e un padre di poche parole), di una certa età e sicuramente molto meno responsabili della figlia, soprattutto per quanto riguarda il virus e le regole da seguire. È un po’ quello che sentiamo e vediamo tutti noi dall’inizio della pandemia: giovani responsabili (almeno nei primi tempi) contro anziani (sicuramente molto più a rischio) che hanno preso la cosa molto sottogamba. Ovviamente ci tengo a precisare che non sto facendo di tutta l’erba un fascio, non è mia intenzione e non voglio nemmeno dare giudizi in merito, non è questa la sede, ma volevo farvi capire un po’ il tema, chiamiamolo così, del romanzo di Pasquale Dente. Questa contrapposizione, questo scambio di ruoli, in cui spesso è la figlia a sgridare i genitori, ha donato al romanzo quel giusto equilibrio tra drammaticità e comicità. Legandomi a questo, voglio dire anche che ho apprezzato l’utilizzo del dialetto (credo napoletano, ma non vorrei sbagliarmi, chiedo venia!) nei dialoghi, che aiuta a rendere il tutto più verosimile. Molto utili anche le note, ho apprezzato meno quelle della traduzione delle parti in dialetto (assolutamente necessarie, ma non credo che quelle parti siano state tradotte alla lettera, come invece avrei preferito, per gusto personale), mentre ho trovato utilissime e ben scritte quelle riguardanti tecniche o strumenti medici; ho imparato qualcosa di nuovo grazie a esse e questa è sempre una cosa positiva.

Mi è piaciuto molto anche il finale, avevo già intuito da qualche capitolo la direzione verso la quale si andava, però questo non mi ha rovinato il colpo di scena dell’ultimo capitolo, anzi mi ha creato aspettativa e suspense. Giusta scelta anche per l’epilogo.

Ora invece passiamo alla parte più antipatica di questa recensione. Purtroppo tendo ad avere un occhio molto critico mentre leggo, ho questa predisposizione ad accorgermi anche della più piccola sbavatura e purtroppo in questo libro me ne sono saltate all’occhio parecchie. C’è un vero problema con la punteggiatura, in quanto ci sono spesso virgole lì dove non dovrebbero e ci sarebbe da dare un’occhiata ad alcuni tempi verbali. Non voglio entrare più in merito di così perché non è questa la sede, ma sono a disposizione dell’autore per approfondire la cosa.

Altra cosa negativa è il fatto che non sia riuscita a entrare molto in sintonia con la protagonista, non sono riuscita ad “amarla”, ma nemmeno a odiarla più di tanto. Ecco, sono rimasta spesso perplessa da alcuni suoi atteggiamenti o affermazioni, poi visto il finale del romanzo, a qualcosa posso anche trovare una spiegazione, ma ciò non toglie il fatto che io abbia passato buona parte del tempo a chiedermi il perché di tante cose. Potrebbe essere una cosa soggettiva, non lo posso escludere, ma credo sia giusto far presente tutto quello che ho pensato/provato durante la lettura.

Una cosa che invece mi ha lasciata alquanto perplessa è stata il fatto che per tutta la lunghezza del romanzo, nonostante la protagonista sia un’infermiera a stretto e continuo contatto con pazienti positivi al Coronavirus, continua ad avere contatti con altre persone (abbracci, carezze, qualche bacio). Ecco, non conosco personalmente la realtà di chi lavora in ospedale, quindi non mi pronuncio con cognizione di causa, ma la logica mi direbbe che una persona che rischia continuamente di essere infettata (nonostante mille precauzioni), dovrebbe adottare degli accorgimenti anche in ambito privato.

Infine, trovo che la lettura di “Dietro la maschera” sia stata una lettura piacevole, mi ha aiutata a comprendere molte dinamiche che riguardano la terapia intensiva ai tempi del Covid-19 e, visto il periodo, credo sia importante. Inoltre, cosa da non sottovalutare, si tratta di un libro con un messaggio ben preciso, messaggio che ho colto e che mi ha portata a fare dei ragionamenti. Vi posso dire soltanto che troppo spesso si tende a sottovalutare il lavoro degli altri e a non curarsi di quello che certe situazioni possono creare nella mente di chi si trova sotto pressione, di chi combatte contro i “fantasmi”. Non svelo altro, credo sia giusto che il messaggio arrivi attraverso le parole dell’autore stesso.

Elena Daniela P.


Sono infermiera nel reparto di terapia intensiva, la morte lavora al mio fianco. A volte vinco io, a volte vince lei, fa parte del gioco.”

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