lunedì 29 marzo 2021

Recensione: "Le ragioni della follia" di Fabio Giorgino

 





·       Titolo: Le ragioni della follia

·       Autore: Fabio Giorgino

·       Genere: Thriller

·       Casa editrice: self publishing Amazon

·       Collana: Il commissario Spiro Fusco

·       Volume:

·       Pagine: 367

·       Data pubblicazione: 19 luglio 2019

·       Format: Ebook kindle € 2,99 – Cartaceo € 14,50

Link acquisto: Amazon


Fabio Giorgino vive fin dalla nascita (1968) a Maruggio, un paesino di 5.000 abitanti sulla costa ionico-salentina. Sposato, due figli, è impiegato nella pubblica amministrazione. Fin dall’infanzia dimostra un vivo interesse per l’arte in generale e per tutto ciò che è frutto dell’ingegno e della creatività. In età adolescenziale si avvicina alla pittura paesaggistica che coltiva con abnegazione raggiungendo un buon livello, e in questo periodo comincia anche la sua formazione letteraria, dapprima rivolta a romanzi per ragazzi per poi avvicinarsi al mainstream, al thriller, al noir, al poliziesco.

Nel 2010 inizia a coltivare il sogno di scrivere un thriller ambientato a Taranto. C’è un’idea di fondo, che pian piano si arricchisce sempre più di particolari fino a diventare la prima stesura, e dopo otto anni di riscritture e revisioni, a luglio 2019 vede la luce il romanzo d’esordio dal titolo Le ragioni della follia, pubblicato con Amazon. Il protagonista è il commissario Spiro Fusco, letteralmente uno spirito oscuro, che rivediamo anche nel secondo romanzo della serie, pubblicato in agosto 2020, dal titolo Echi sinistri.


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Su una spiaggia del litorale tarantino viene ritrovato il cadavere di un docente universitario sulla cui spalla è stato impresso un marchio a fuoco raffigurante un fiore di loto.
Il commissario Spiro Fusco si occupa del caso. Vive insieme alla figlia da quando Angela, tredici anni prima, ha abbandonato entrambi senza una apparente ragione, facendo perdere le sue tracce.
Quando Spiro comincia a indagare sull’assassinio del professore universitario, non immagina che le ricerche si intrecceranno con il proprio passato fino a sollevare il velo di mistero che avvolge da tanti anni l’abbandono di Angela.

Incipit:

Il torpore cominciò a diluirsi, lasciando posto a una lucidità frammentata. Guglielmo Lombardi sollevò le palpebre pesanti più volte prima di riuscire a tenere gli occhi aperti. Stava seduto, un bavaglio stretto sulla bocca e polsi e caviglie legati ben saldi a una vecchia sedia arrugginita. Lo spazio intorno era sfocato e liquido, un groviglio di linee flebili e grigi toni smorzati. Si sforzò di mettere a fuoco le immagini e una fitta alle tempie gli fece stridere i denti. Lentamente ogni cosa cominciò a prendere forma e colore. Un lume a gas su un tavolo da campeggio illuminava uno spazio circoscritto mettendo in risalto alcuni oggetti dai contorni indefiniti. Osservando il vetro opacizzato del lume prese coscienza del sibilo del gas che ronzava continuo nelle orecchie, mentre un rumore sordo proveniva dall’esterno con un ritmo intermittente. Si concentrò su quel suono ipnotico e rassicurante, sembrava famigliare.

La risacca… sono vicino al mare, pensò.

Sul tavolo adesso riusciva a distinguere un martello, un grosso giravite e un pacco di guanti in lattice. L’ambiente era umido e freddo, impregnato di un effluvio salmastro. Si guardò intorno, le pupille avevano cominciato ad abituarsi alla poca luce in quell’ambiente che sembrava avere confini indefiniti e tetri. Riuscì a distinguere le pareti dall’intonaco grigiastro quasi completamente scrostato, in alcune parti la malta fra gli interstizi era stata grattata via dall’azione erosiva della salsedine e dell’umidità.

La paura aumentò fino a disperdere gli ultimi segni di intorpidimento. Guglielmo si sforzò di riprendere i ricordi per ricostruire il passato recente. Non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso, potevano essere state le nove di sera, era comodamente seduto in poltrona davanti alla tv. Il telegiornale era finito da poco e stava per iniziare il posticipo della seria A di calcio. Era accaduto tutto in pochi istanti: un colpo secco alla nuca, poi il nulla, il suo ricordo svaniva lì.


Prima di tutto ci tengo a ringraziare l’autore di questo romanzo, Fabio Giorgino, per avermi messo a disposizione il suo libro, ma non solo, anche per avermi fatto trascorrere delle giornate bellissime in compagnia del commissario Fusco e di tutto il suo entourage.

È stato un onore per me conoscere il commissario Spiro Fusco, così come Vanessa, la figlia adolescente, i colleghi del commissariato, le varie vittime. Nonostante sia un libro narrato in terza persona, trovo che ogni personaggio, anche i più secondari, anche le semplici comparse, abbiano il proprio spazio; sono tutti così ben caratterizzati e descritti da portare il lettore a conoscerli pian piano, a sentirsi davvero in loro compagnia. Io ho personalmente partecipato alle indagini insieme al commissario, ho scoperto insieme a lui il filo di quest’intricata trama, mi sono emozionata, commossa, arrabbiata insieme a lui e ho gioito anche. Allo stesso tempo, mi sono sentita vicina a Vanessa, l’ho accompagnata nelle sue uscite e mi sono preoccupata per lei.

È stato davvero bello scoprire tutti i cambi di prospettiva durante il racconto, mi hanno fatta trepidare tra un capitolo e l’altro per la curiosità di arrivare a quello successivo e vedere attraverso quali occhi l’autore mi avrebbe svelato ulteriori informazioni sulle vicende narrate. Il fatto di inserire qualche parte dal punto di vista del killer è stata una mossa davvero avvincente, mi ha portata a conoscere un po’ anche la sua misteriosa figura, tuttavia senza farmelo scoprire prima del tempo. Si entra giusto un poco nella sua testa, tanto per capire quali malati pensieri lo portano ad agire con quelle modalità, ma senza mai rivelare troppo. Insomma, Fabio è riuscito a tenermi sulle spine fino alla fine, disseminando qualche piccolo indizio lungo il percorso, facendomi pensare di aver capito tutto o niente, per poi sorprendermi nel capitolo finale. Se non è questo sintomo di un giallo ben scritto…

Un’altra cosa che ho amato di questo romanzo è stata quella di aver costruito in modo divino tutta una storia attorno ai personaggi. Qui non si va a leggere soltanto del killer, delle sue vittime e dell’indagine in corso, ma abbiamo l’opportunità di conoscere tutti i retroscena, le vite dei personaggi nel privato; quella del commissario fuori dall’ambito lavorativo, il suo passato, il suo rapporto con la figlia, tutto. Si tratta di un libro complesso e completo, che non lascia nulla al caso e che porta il lettore a vivere le vicende narrate in prima persona. E per completare il quadro, Fabio Giorgino ci offre delle descrizioni ambientali davvero sublimi, una delle quali mi è rimasta impressa, una similitudine per la precisione, ve la cito:



Ecco, trovo il fatto di parlare della parte nascosta della luna, paragonarla all’animo del protagonista, sia una delle cose più belle che abbia mai letto. La luna è spesso protagonista di descrizioni e similitudini, ma generalmente ci si sofferma alla sua parte visibile, mai a quella nascosta, quella che c’è ma non si vede, quella oscura.

Bellissima anche l’ambientazione, ci troviamo a Taranto, che è molto distante da me, ma attraverso le descrizioni di Fabio mi sono sentita un po’ più vicina al mare anch’io, mi è sembrato in più di un’occasione di passeggiare sul lungomare o di sentire la brezza direttamente sulla pelle. Questo è sicuramente sintomo di descrizioni accurate e capacità di coinvolgere il lettore.

Forse sono leggermente di parte perché sono da sempre un’amante del genere giallo/thriller e questo libro mi fornisce un po’ di entrambe le categorie, quindi mi sento di consigliarlo a tutti coloro che amano questi generi, sono convinta lo troverebbero una lettura meritevole e piacevole.

Infine, non posso che augurare a Fabio Giorgino il meglio per il suo libro, che ho scoperto essere una serie, il secondo è già pubblicato e mi sembra di aver capito che c’è un terzo in arrivo, quindi non vedo l’ora di trovarmi nuovamente in compagnia del commissario Fusco.

Elena Daniela P.


“«C’è qualcos’altro.» Merli si rivolse ai due infermieri: «Forza ragazzi, solleviamo il torace.»

I due si posizionarono in corrispondenza della testa, uno di fronte all’altro ai due lati del carrello, e sollevarono il busto mettendo il corpo seduto. Merli passò dietro e indicò a Spiro di avvicinarsi.

«Vede» disse, indicando un punto sulla spalla sinistra proprio al di sopra della scapola. «È un marchio a fuoco.»

Federico scattò in piedi e si accostò alla sorella.

Un fiore di loto stilizzato, dai contorni bruciati, campeggiava sulla pelle incolore del cadavere. Spiro si protese per osservare da vicino mentre Isabella guardava a bocca aperta l’immagine impressa sulla spalla del padre. I contorni erano netti e precisi, l’assassino aveva eseguito quel macabro rituale con una freddezza che metteva i brividi solo a immaginarsi la scena.

Federico era inerte, fissava la spalla del padre come inebetito, incapace di muovere un solo muscolo.

Spiro poggiò le mani sulle spalle di Isabella e del fratello e li invitò a sedersi. Si avvicinò di nuovo al carrello e riprese a studiare il marchio a fuoco. Alzò lo sguardo su Merli per cercare il conforto di un suo parere.

«Come ha operato l’assassino?»

Il medico legale si era preparato a quella domanda, indicò tutti e quattro gli arti e cominciò: «Ci sono tracce di colla su polsi e caviglie, ma solo sul davanti. È stato immobilizzato con del nastro adesivo su una sedia. Prima gli è stato impresso il marchio a fuoco, la bruciatura è vivida e l’epidermide ha reagito con il rilascio di siero. Poi è stato sferrato un unico colpo con il giravite, come avevamo già ipotizzato ieri. La morte è sopravvenuta in pochi secondi.»”

 


“L’attenzione di Vanessa fu attirata da una bambina che ammirava il gelato che il suo papà le aveva appena messo in mano. Quel quadretto era incompleto, non poteva fare a meno di notarlo, era l’empatia a smuovere il suo intuito. Oltre che dall’assenza fisica, lo capiva soprattutto dalla dolcezza velata di infelicità che leggeva negli occhi dell’uomo mentre sorrideva alla figlia. La prima cosa a cui Vanessa faceva attenzione quando incontrava un bambino era la presenza o meno della figura materna, sempre. Ne seguiva i passi e gli sguardi fino a quando non si rassicurava della presenza di un genitore, e ogni volta che constatava l’assenza della mamma cercava di incrociare lo sguardo del piccolo con la speranza di non dover leggere in quegli occhi la sua stessa sofferenza.

Proprio in quel momento di riflessione la bambina rivolse lo sguardo verso Vanessa e le sorrise, come se avesse captato la sua preoccupazione e volesse tranquillizzarla, poi mise la manina in quella del papà e i due s’incamminarono a passo lento.

«Tu cosa prendi?» chiese Federico.

Lei diede un’ultima occhiata alla bambina che si allontanava.

«Un gelato» rispose sorridendo.”



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