giovedì 4 febbraio 2021

La regina degli scacchi di Walter Tevis

  La regina degli scacchi




Autore: Walter Tevis (San Francisco 1928 – New York 1984), cresciuto e vissuto in Kentucky, è l’autore di sei romanzi, oggetto di famose trasposizioni cinematografiche.

La regina degli scacchi”, da cui è stata tratta l’omonima serie Netflix, è considerato un capolavoro. Tra i suoi titoli più noti “Il colore dei soldi”, “Lo spaccone”, “L’uomo che cadde sulla Terra”. L’intera opera di Tevis è in corso di ripubblicazione presso gli Oscar Mondadori.

Casa editrice: Oscar Mondadori

Sinossi: Finita in orfanotrofio all’età di otto anni, Beth Harmon sembra destinata a un’esistenza grigia come le sottane che è costretta a indossare. Ma scopre presto due vie di fuga: le pillole verdi, distribuite a lei e alle altre ragazze dell’istituto, e gli scacchi. Il suo talento prodigioso è subito lampante; una nuova famiglia e tornei sempre più glamour e avvincenti le permettono di intravedere una nuova vita. Se solo riuscisse a resistere alla tentazione di autodistruggersi…

Perdere, vincere, cedere, combattere: imparare, grazie al gioco più solitario che ci sia, a chiedere aiuto, e a lasciarselo dare.

Genere: Romanzo di formazione






Esiste tutto un mondo in quelle sessantaquattro case. Mi sento… sicura, lì. Posso controllarlo, posso dominarlo. Ed è prevedibile. So che se mi faccio male è solo colpa mia.”

(Walter Tevis, La regina degli scacchi)





Questo libro mi ha appassionata fin dalle prime pagine e non perché io sia un’amante degli scacchi, al contrario, nonostante i vari tentativi di mio nonno, non sono mai riuscita a capire a fondo quel gioco. Eppure, qualcosa in questo libro mi ha appassionata a tal punto da continuare a leggere, pagina dopo pagina, sentendomi addosso la passione della protagonista per quel gioco così enigmatico e difficile.



Parlando della protagonista, Beth Harmon, inizialmente una ragazzina orfana e introversa, finita in un orfanotrofio in seguito alla morte della madre, riesce poi a riscattarsi attraverso gli scacchi. Quell’istituto la portò a imparare il gioco degli scacchi, ma non nel modo tradizionale, non si trattava di una delle attività proposte ai bambini che alloggiavano lì, bensì la nostra Beth imparò a giocarci guardando il custode farlo, in un polveroso seminterrato. E fu proprio per merito suo, di quell’anziano custode che Elizabeth Harmon diventò “la regina degli scacchi”.



Ma quell’istituto, il Methuen, non le lasciò solo quel ricordo, non le lasciò soltanto una passione e un modo per potersi pagare da vivere – come accadrà molto più avanti – ma anche una dipendenza. Ebbene, inizialmente ai bambini venivano somministrati dei tranquillanti per “aiutarli” a tenere sotto controllo l’umore, che in seguito vennero tolti dalla loro razione quotidiana di vitamine, giustamente direi. Se non fosse che per Beth era ormai troppo tardi, a soli otto anni di vita la nostra protagonista si trovò completamente assuefatta da quei tranquillanti e lo sarebbe stata per un bel po’ di anni.



Il momento in cui Beth viene adottata sembra quello più felice in assoluto; a causa di un suo comportamento legato ai tranquillanti, le fu proibito dalla direttrice dell’istituto – per punizione – di giocare ancora a scacchi, quindi il fatto di uscire da quel posto le avrebbe permesso di riprendere. Ecco, anche ora, dopo aver finito di leggere il libro per intero e dopo averci ragionato per alcuni giorni, non so se quello di essere stata adottata sia stato un fatto del tutto positivo per Beth. Sicuramente rimanere in quell’istituto non le avrebbe dato la possibilità di giocare ai livelli ai quali poi è arrivata, almeno non prima della maggiore età, allo stesso tempo però, la tredicenne Beth non era finita proprio in una famiglia degna di questo nome: il cosiddetto padre è praticamente svanito nel nulla subito, mentre la madre non si è mai comportata come tale. Beth ha cominciato a volerle bene dopo un po’ di tempo, arrivando addirittura a chiamarla “mamma”, però quella donna era quasi sempre ubriaca o in procinto di bere e quando non lo faceva trascorreva le sue giornate a guardare la televisione. Non aveva nessun tipo di impiego e mi chiedo dove trovasse esattamente i soldi per sopravvivere una volta che il marito se ne fu andato. Ed ecco che qui entra in gioco Beth, che con la sua bravura riuscì a guadagnare abbastanza da mantenere entrambe e non solo, ma anche abbastanza da attirare l’attenzione di quella donna, che improvvisamente la guardò in modo diverso. Non so ancora come catalogare la signora Wheatley, se un'arrivista in cerca di denaro e vita facile oppure una donna profondamente sola e amareggiata. Non riesco ancora a capire se mi abbia fatto pena oppure rabbia il suo personaggio, però il fatto che io ci pensi ancora mi porta a trarre una conclusione: questo libro, oltre ad avermi mostrato dei fatti – che siano legati agli scacchi o ad altro poco importa – mi ha anche portata a costruirci dei ragionamenti attorno ed è sempre una cosa positiva, a mio avviso.



Questo romanzo mi ha portata a “vivere” i personaggi così a fondo da arrabbiarmi o gioire o intristirmi insieme a loro. Questo romanzo mi ha permesso di giocare a scacchi, mi ha permesso di “vedere” le partire con gli occhi della mente, come faceva Beth e mi ha quasi fatto venire voglia di comprare una scacchiera, prima di ricordarmi che non ho mai capito come si gioca realmente.



Mi sono sentita un po’ Beth Harmon, un po’ Benny Watts e un po’ Alma Wheatley e più di una volta mi sono arrabbiata con Beth, ma ancora più volte ho gioito insieme a lei e ancora più volte ho giocato le partite di scacchi insieme a lei, con il fiato sospeso, letteralmente.



Ho adorato il finale di questo romanzo, anzi mi correggo: l’ho prima odiato perché avrei voluto saperne di più, avrei voluto scoprire ancora qualcosa su Beth e avrei voluto giocare ancora una partita insieme a lei; però ho apprezzato l’immagine finale con cui l’autore ci vuole lasciare, credo sia il finale perfetto per la storia di Elizabeth Harmon, la Regina degli scacchi.



Quando ho scoperto che la prima edizione di questo romanzo è stata pubblicata nel 1983 è stato uno shock per me perché, nonostante dalla narrazione si capisca benissimo che il romanzo è ambientato negli anni 50/60 – anche se non mi sembra venga esplicitamente specificato dall’autore –, è talmente attuale che potrebbe essere stato scritto oggi stesso. I problemi di Beth sono quelli di tante ragazze ai giorni nostri, forse l’unica differenza è data dal fatto che oggi si tende – o si cerca – di far pesare meno l’essere donna in un ambito governato da uomini, come lo erano gli scacchi all’epoca e come credo lo siano tutt’ora; ma nemmeno oggi riusciamo a essere del tutto inclusivi, a pensarci bene, no? Anche oggi capita di sentir parlare di discriminazioni di genere verso le donne che cercano di “invadere” ambiti per lo più dedicati agli uomini.



Consiglio questo libro in primis a tutti gli amanti degli scacchi, che troverebbero in esso una valida lettura sull’argomento, ma anche a chi, come me, non si è mai avvicinato a quel mondo. È un libro che appassiona sin dalle prime pagine, che oltre a parlare di scacchi, parla anche della vita di una giovane donna, tra sofferenza, dipendenze e riscatto.



Elena Daniela P.

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